domenica, marzo 18, 2007

ALL' ARREMBAGGIO!!!

Il mio "amico" Gud mi ha invitato ad una nuova sfida, che questa volta riguarda i pirati invece dei propri segreti (vedi:5 cose che non sai di me)!
Credo che tutto sia partito da qui!
Comunque ecco il mio contributo!



























Ora non mi resta che nominare 3 amici di blog (peccato avrei avuto una lista interminabile)
eccoli:
Cristiano
Federica
Remo

...corro ad avvisarli! haw! haw! haw!

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Fantastique!

Lollo ha detto...

Mi permetto di inserire un pirata letterario, scritto da me medesimo. Magari potete provare a illustrarlo, sempre che abbiate voglia di leggerlo...

Il mestiere del capitano

Una notte orfana di stelle. Da prua, l’isola è un polipo nero che si aggrappa alla coperta dell’oscurità con la rabbia feroce di chi ha freddo da sempre. Io cammino sul ponte della nave, perché questo è il mio ruolo, il sonno un lusso che non posso permettermi, la veglia una compagna che ho imparato ad amare. L’acqua sotto le fiancate della nave si increspa al passaggio del corpo possente del mio nemico. Aguglie e pesci pilota si insinuano tra la spuma e mi guardano con occhi aguzzi, capocchie di spillo che si chiudono quando ramazzano fondali impensabili. Io odio l’acqua. E l’acqua odia me. Un sorso di rum per lavare via la stanchezza e sangue a fiumi per pulire la tolda. Questo io chiedo, all’oste che dirige il bar dell’inferno. E questo ricevo, mescolato a ghigni feroci della ciurma e a sospiri di donne che ho strappato al calore delle loro case. Contesse bambine, matrone imbellettate, donnacce e donnine. Il mio cuore è la loro prigione. E da lì non si scappa, perché la vendetta ha messo sbarre troppo solide al tugurio angusto che mi batte nel petto. Capitan Uncino, mi chiamano. E quello è il mio nome, da sempre e per sempre. Perché un nome tanto fiero è una strada dritta di solide pietre, impossibile non percorrerla tutta. Una brezza gentile mi porta all’orecchio il rumore che temo e aspetto come un’estrema unzione. La mia pelle organizza una babele di brividi, la schiena si arcua, in bocca arriva la bassa marea. Tic tac... tic tac... Peter Pan è niente, al confronto. La sua spada piccola e veloce potrebbe entrare tra le mie costole e mettere un punto al noioso monologo dell’esistenza. In un attimo, o dopo pochi istanti di feroce agonia. Ma almeno arriverebbe il riposo, l’agognata scampagnata verso lidi sconosciuti e immensi, verso mari immoti e gole inesplorate. E invece niente. Si protrae la condanna. Tic tac... tic tac... Il coccodrillo ha ingoiato la sveglia, goffo metronomo di una favola stupida. Il coccodrillo ha ingoiato la mia mano. E gli è piaciuta. Mi segue come un boia che ha perso la rotta del patibolo ma non le tracce del condannato a morte. Mi segue come il domani, che quando arriva si trasforma nell’inutile breviario che gli uomini chiamano oggi. E domani è ancora di là da venire. Scendo le scale e vado sotto coperta, silenzioso come un pensiero inespresso. Spugna dorme, perché è un’anima semplice, un figurante alcolico nella farsa della mia vita. Russa e sospira, impossibile seguire il ritmo del suo aritmico incubo, fatto di sirene e di indiani, di orfani implacabili e di fatine volanti. È la cosa più vicina a un amico che abbia mai avuto. E questo pensiero non mi fa stare bene. Prendo le mie pistole, cariche e lucidate, e torno sul ponte. Per calare in acqua la scialuppa impiego un tempo infinito. Provatevi voi, con una mano sola! Poi salgo sul piccolo legno, un guscio di noce che balla sulla musica delle correnti. Il coccodrillo si avvicina e mi guarda. Non è intelligente, l’ho già detto, ma in qualche modo capisce che è la resa dei conti. O lui o io, oppure entrambi. Mentre apre la bocca, io prendo la mira. Tic tac... tic tac... Il suo fiato è osceno. Niente del genere dovrebbe esistere, se un qualche dio avesse a cuore il destino di questo suo povero figlio mutilato. Niente del genere dovrebbe insozzare il sudario di questa notte senza stelle. Poi chiude la bocca, senza rumore di zanne. Se ne va, accompagnato dal ticchettio che ho imparato a sincronizzare con i battiti del mio cuore. E io non gli sparo. Adesso so qual è il mestiere del capitano. Sopravvivere alla meglio, nonostante tutto. Perché c’è una ciurma di balordi da portare a caccia di nuovi tesori e all’inseguimento di nuovi fantasmi. E questo, dovete darmene atto, io lo so fare bene. Esce la luna dal sipario delle nubi, in attesa di un applauso che non c’è.

Anonimo ha detto...

Evviva i pirati!!!
Clap! Clap! Clap!

Anonimo ha detto...

Fatto!
grazie dell'invito :)
r--

Niccolò Storai ha detto...

Ciao Giorgio, si, tutto è partito da me.
Vorrei ringraziare anche Lorenzo Bartoli che partecipa con un delizioso racconto inedito a tema.
E' il primo sceneggiatore del nostro gruppo, grande Lollo!

Anonimo ha detto...

@gud:
sèschik!

@lollo:
meravigliosa!
meglio di un disegno!;)

@ròby:
yepphà

@remo:
arrivo è!... secono me è una pitatessa!;)

@niccolò:
grande!...per fortuna lollo non l'ha disegnato!;)

G.

Anonimo ha detto...

ma non si dovrebbe scrivere arrembaggio con 2 erre?

giorgio pontrelli ha detto...

bravissimo/a!:)
G.